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venerdì 22 giugno 2012
LA MAGICA NOTTE DI SAN GIOVANNI

mercoledì 17 agosto 2011
La rupe Tarpea e le oche del Campidoglio
Un misto di storia e leggenda è racchiuso nelle vicende legate alla rupe Tarpea e alle oche del Campidoglio.
da Roma Sito Turistico Ufficiale
Pur essendo il più basso e il meno esteso dei sette colli di Roma, il Campidoglio è forse quello più legato agli avvenimenti storici della città, in quanto fulcro fin dall’antichità delle attività politiche e religiose di Roma.
La leggenda narra che ai tempi della fondazione di Roma il colle fu conquistato dai Sabini grazie al tradimento della romana Tarpea, la quale avrebbe aperto le porte di accesso della città in cambio degli anelli e dei bracciali d’oro posseduti dai nemici. Tarpea non ebbe comunque fortuna, e fu a sua volta tradita dagli stessi Sabini che, una volta entrati, la sommersero con i loro scudi uccidendola. Questa la leggenda, ma molto probabilmente Tarpea altro non era che una divinità tutelare della collina più antica del Campidoglio, Mons Tarpeium, su cui sembra sorgesse la statua della divinità, posta come un trofeo sopra una catasta di armi. Per tutta l’antichità il Mons Tarpeium fu tristemente utilizzato come burrone da cui venivano precipitati tutti coloro che erano accusati di tradimento: da qui il nome di rupe Tarpea.
Ma l’episodio più celebre che riguarda il Campidoglio è senz’altro legato all’invasione del 18 luglio del 390 a.C., giorno in cui i Romani furono sconfitti dai Galli presso il fiume Allia. L’avanzata nemica proseguì nei tre giorni successivi, quando i Galli raggiunsero Roma e la saccheggiarono, ad eccezione del Campidoglio che si salvò dal sacco e resistette per qualche mese. La leggenda vuole che l’attacco notturno dei Galli fu sventato grazie allo starnazzare delle oche capitoline tenute nel recinto sacro del tempio di Giunone: il Campidoglio fu quindi salvato dalle sue oche! In ricordo
dell’episodio venne eretto nel 353-344 a.C. il tempio di Giunone Moneta (moneta o “ammonitrice”). Presso il tempio di Giunone ebbe sede la prima zecca (officina moneta dal nome del tempio, da cui deriva il termine odierno di “moneta”).
sabato 14 maggio 2011
Un’avventura co’ li granchi (in romanesco come se parlava)

Dar Granne Sor Maurizio un racconto de Roma de na vorta:
E mo v'aricconto de' quela vorta che semo annati a Piazza Vittorio.... abitavamio ancora in via Cicerone, vicino ar palazzaccio(palazzo di giustizia a piazza Cavour) Mi padre fa a mi madre.."Lucià, me va 'na zuppa de granchi ch'è parecchio che nun se fa... vado co' Maurizio a Piazza Vittorio a comprà un po' de granchi ….ciao".
Dovete da sapè che a Piazza Vittorio 'na vorta, c'era er mejo mercato de Roma e li s'arisparambiava (risparmiava) de parecchio.
Piazza Vittorio stà all'Esquilino a noi abitevamo in Prati e pe' arivacce, dovessimo da prende er tramve. Allora c'era la circolare che faceva er giro de Roma e prennessimo la la circolare rossa.
Mò sto tramve era snodato e da regazzino me ce divertivo tanto a mette li piedi su la piattaforma rotonda interna che a ogni curva girava.
Arivamo ar mercato e ‘nnamo subito ar settore der pesce e trovamo li granchi vivi che se moveveno. E mo' ndo' li mettemo ?" fa mi padre? Poi me fa:"Cori Maurì, va'comprà 'n pilone cor coperchio così ce li mettemo drento"
M'attraverso de corsa tutto er mercato , me compro sto pilone e lo riporto a papà che già era inguaiato perchè er pesciarolo javeva dato un cartoccione ma li granchi dar de drento voleveno sortì de fora e nun ne volevano sapè gnente de stassene boni Allora, finalmente, piamo sto cartoccione, lo votamo drento ar pilone, chiudemo er coperchio e tutto s'accomoda.
E' fatta...pensavamo...io e papà.
Salimo sur tramve, aripjamo la circolare e se mettessimo a sede proprio su li sedili che staveno davanti a la piattaforma girevole.... io, che me portavo la pila, la poggio pe' tera e me metto a sede vicino a papà.
Solo che nun m'ero accorto che una parte della pila poggiava su quella dannata piattaforma. Alla prima girata der tramve stà piattaforma se move, comincia a girasse, se porta apprresso la pila e la manda a sbatte sulla parete der tramve..... aprete cielo……. la pila casca , s'opre er coperchio e li granchi sortono de fora e cominceno a core come matti pè tutto er tramve.
Ve potete da immagginà quer ch'è successo.... certe donne so' salite sui sedili, antre se so messe a strillà e a dì' " aaah che schifooo" N'antra pe' core, ha 'nciampicato e ha sbattuto co la panza ar manubrio der sedile.. lì ndove uno s'aregge.
L'ommini camminaveno in punte de' piedi pe nun trovasse li granchi sotto le scarpe ma ‘gni tanto se sentiva un crac der quarcheduno che je metteva li piedi sopra.Mo, dovete poi da sapè che la circolare era piena de gente che scarpitava mentre li granchi corevano de qua e dellà fra li piedi.
Er tramviere intanto, te ferma er tramve ner sentì tutta sta caciara e opre le porte mentre io e mi' padre corevamo appresso a li granchi pe rimetteli 'n de la pila ma stavamo piegati in due pe' le risate che li per lì ce veniveno spontanee e, pe' fortuna, che quarcuno de bona volontà ci'ha dato 'na mano e semo riuscito a ripialli tutti ... o quasi, sarvo quarchedduno che è sortito dar tramve. "Li devi pià così" - me faceva mi' padre" -co' du' dita... dalla parte che nun ci'hanno le tenaije, co' un dito sulla panza e uno sulla schina". Intanto però certi granchi s’arampicaveno sulle scarpe e su le carze delle donne mentre artri pe li pantaloni dell’ommini
Inzomma , ce voleveno fa pagà er bijettoo pe’ ‘gni granchio perché nun se poteveno portà bestie ner tranve. Poi er vetturino ha arzato le spalle, ha richiuso le porte e è ripartito ma quanno semo scesi deve avè tirato un ber sospiro de sollievo ma un par de risate se l’era fatte pure lui.
A casa, mi madre e mi nonna e mi sorella, se so sganasciate, che vor dì che se so mezze slogate le mandibole da le risate, quanno j ‘ avemo detto der fattaccio.... Noi, un po’ de meno, dopo l'agitazione che avevamio passato.
.
In compenzo la zuppa è stata proprio bbona e magnata co' tutti li sentimenti de gradilla... e 'n pò anche pe' vennicasse de li grancacci.
Ecco, questo è stato n'antro momento bello ,e adesso ancora ce rido, tanto che l’ ho già ariccontato a li nipoti mia ma che aricorderò sempre con tanto piacere e tanta nostargia de tempi felici, senza penzieri e co’ papà che me dava sicurezza
ve saluto
maurizio
sabato 23 aprile 2011
Dall'uovo di Pasqua


Dall'uovo di Pasqua
Dall'uovo di Pasqua
è uscito un pulcino
di gesso arancione
col becco turchino.
Ha detto: "Vado,
mi metto in viaggio
e porto a tutti
un grande messaggio".
E volteggiando
di qua e di là
attraversando
paesi e città
ha scritto sui muri,
nel cielo e per terra:
"Viva la pace,
abbasso la guerra".
Gianni Rodari
lunedì 10 gennaio 2011
PIAZZA CAMPO DE FIORI ( der Sor Maurizio)

Un'ottimo articolo dallo storico ufficiale della Grande Hostaria er sor Maurizio:
Quante volte si è sentita nominare questa famosa piazza di Roma…. perfino un film nei primi anni del 1960 ha contribuito a far conoscere il nome di questo slargo in tutta l’Italia: era uno di quei film scacciapensieri che allora erano di moda quella serie che chiameranno poi “commedia all’Italiana” un film con Anna Magnani e Aldo Fabrizi.
I due attori hanno, in questa piazza- mercato, i loro banchi di vendita e intpretano due personaggi estremamente litigiosi fra di loro; lei fruttarola e lui pesciarolo,( come a Roma si chiamano il fruttivendolo e il pescivendolo) ma che in fondo in fondo nutrono una pur tenue simpatia l’uno per l’altro anche se velata da continui litigi e ripicche reciproche.
L’ambiente in cui il film si svolge è quello del classico mercato rionale romano con abbondanza di frutta, pesci, banchi per la carne, per il pollame e donne e uomini del popolino ed di ogni censo sociale si aggirano fra i carretti sul cui piano è normalmente esposta la merce per gli acquisti.
I discorsi sono sempre gli stessi, da che mondo è mondo, nell’ambito di un mercato rionale; cambia solo il dialetto …”a sor Tullio, a quanto li fate oggi li broccoli?....eeeh!… così tanto? Ve saluto… vado da n’antra parte, indove costeno de meno!.“ Sono sempre le stesse parole di gente che si frequenta ormai da anni e che hanno preso fra di loro, venditori ed ascquirenti, una certa familiarità quasi confidenziale.
Un bidone intanto lì, in mezzo al camminatoio fra banco e banco, arde con della legna dentro; è inverno e fa un freddo cane e ogni passante freddoloso si ferma un istante e tende le mani verso quel calore provvidenziale e generoso. Ma c’è anche chi approfitta, con le mani stese sul fuoco a scaldarsele, per scambiare due parole, magari convenzionali ma utili per iniziare bene la giornata e per riscaldare il cuore anche con una risata.
Questa è solo una fotografia di un istante di vita di un qualsiasi mercato rionale di ogni città italiana ma a Piazza campo de’ Fiori il panorama non è cambiato a tutt’oggi , e, anzi, già da parecchi secoli la piazza è dedicata al mercato, un mercato che in origine era sulla piazza del Campidoglio finchè nel 1478 venne spostato a piazza Navona.
Questo mercato non ha pace perché, passati pochi anni , Donna Olimpia Maidalchini Pamphili, cognata di Papa Innocenzo X , di cui aveva sposato il fratello molto anziano, riceve in dono dal Pontefice il palazzo Pamphili che era stato costruito proprio li a piazza Navona. Quel mercato disturbava la nobildonna: quel vociare, quelle espressioni popolari, non erano adatte al rango di Donna Olimpia.... basta poco… in un batter d’occhio la potentissima nobildonna fa piazza pulita di polli, galline, pesci, carne frutta, cibarie di ogni tipo e mercanzie di vario genere, per trasferire tutto in un largo spiazzo esistente adibito a prato, poco lontano da piazza Navona, appunto il Campo dei Fiori.
Quella che noi normalmente oggi chiamiamo piazza Campo de’ Fiori, fin dall’antichità era un prato, abbastanza grande, dove venivano coltivati fiori e piante di ogni genere, per divenire, in relazione alle necessità dovute a carestie, guerre o epidemie, un vasto orto per la coltivazione di prodotti alimentari.
Una antica tradizione ricordava che quel prato era in realtà il giardino della villa che Pompeo aveva regalata alla sua amante Flora dal cui nome sarebbe sorto Campus Florae, termine poi divenuto “campo di Flora” e per abitudine alla presenza dei fiori, Campo de ‘ Fiori.
Il mercato dei cavalli e degli animali, poi sopravvenuto, e la compravendita di oggetti di valore di ogni tipo, trasforma quella piazza in un florido centro di affari. Poi, quel campo verde, aperto, da scavi effettuati, si scopre che è la parte centrale dell’antico Teatro di Pompeo con intorno i ruderi delle fondamenta e della costruzione delle gradinate.
Su quei resti vengono costruiti palazzi signorili, alberghi e osterie per ogni ceto sociale,da quelli nobili a quelli più popolari , edifici che vanno ad affiancarsi alle fortificazioni che i signori della nobiltà romana avevano costruito già ai primi anni del 1100 e da allora quello slargo era divenuto un campo per menarsele di santa ragione fra i signorotti locali.
Verso il 1500 la piazza viene lastricata perché era un comodo punto di passaggio per i cortei Papali, per i pellegrini che si recavano a visitare i luoghi sacri, o per gli ambasciatori che si recavano in visita in Vaticano.
Anche famose cortigiane, sia appartenenti alla nobiltà romana , sia della corte pontificia,vengono a risiedere nei palazzi signorili della piazza e nomi conosciuti sono quelli di Vannozza Caethani, l’amante di Alessandro VI Borgia o la Fornarina o Imperia, tutti nomi di grandi favorite, giungono anche a gestire locande e hosterie come fece la stessa Vannozza.
Sorgono così le locande della Luna, della Stalla, dell’Angelo, della Nave, tutt’ora riconoscibili anche se le murature sono state poì modificate dalle ristrutturazioni ma già da allora gli ingressi agli stabili erano indicati con i numeri civici che sono gli stessi di oggi. Ad esempio al n. 11 c’era la locanda della Vacca, della Giovanna Caethani,la Vannozza sopra citata.
Gli scontri fra le classi nobili divengono col tempo, talmente furibondi da tramutarsi in vere battaglie con morti e feriti tanto che le autorità ecclesiastiche come monito, vi pongono il palco per il supplizio della corda . Questa corda veniva tesa non dalla piazza bensì dalla vicina piazza Farnese dove era installata la ruota che girando, faceva tendere la corda e tutt’ora c’è via della Corda, la piccola strada che allora era attraversata longitudinalmente dalla corda stessa al cui capo, in piazza Campo dei Fiori, venivano legate le braccia del condannato e, col girare la ruota, quelle povere braccia venivano strappate letteralmente dal tronco, ledendo i tendini e i muscoli. Una atrocità assurda ma c’era anche di peggio per quei tempi.
Questa piazza è tristemente famosa perché vi venne arso vivo Giordano Bruno, il filosofo che la Chiesa condannò come eretico e purtroppo il supplizio per chi veniva accusato di eresia era il rogo.
Ora al posto del palco del patibolo , e al centro della piazza, c’è un monumento a lui dedicato, costruito nel 1889 . Una volta sullo stesso posto dove era il palco delle torture c’era una fontana con delfini bronzei…. Era composta da una base a forma di tazza ovale e chiusa da un coperchio sul quale era scritto in caratteri latini” Ama Dio e non fallire, fai del bene e lascia dire”- anno 1622-
Quella statua di Giordano Bruno costituisce il simnbolo dell’anticlericalesino, l’immagine a ricordo di quel tempo che ha caratterizzato uno dei periodi più oscuri della Chiesa.
La piazza, di notte, oggi è divenuta un centro di richiamo per giovani , per ubriachi e drogati, dove uomini, donne e spacciatori si scambiano le loro merci sotto lo sguardo severo di Giordano Bruno.Poi, con l’arrivo del mattino, quando è stata fatta piazza pulita dalla Nettezza Urbana di cartacce, siringhe e bottiglie di birra rotte e dopo che potenti getti di idranti hanno eliminato ogni lordura, ecco tornare i simpatici carretti del mercato con i venditori che gridano al vento la buona qualità della loro merce.
domenica 29 agosto 2010
LA TABERNA ROMANA
Nell'antica Roma la taberna (al plurale tabernae) era una sorta di ristorante o trattoria, tipicamente dotata di una sola stanza con volta a botte. La taberna nacque inizialmente come deposito ed era, in genere, la bottega degli artigiani, aperta verso la strada; si passò poi alle tabernae vinarie e a quelle che si specializzarono nella consumazione del vino e del pasto.
Le tabernae avevano un bancone di pietra, con cinque o sei contenitori murati, rivolti verso la strada; accanto al banco vi era un fornello con una casseruola piena di acqua calda; nel retro c'erano la cucina e le sale per la consumazione. Avevano una finestra in alto che dava luce al soffitto in legno del deposito ed un grande vano di apertura sulla strada. Un famoso esempio si trova nei mercati di Traiano, costruiti da Apollodoro di Damasco.
Secondo il "Cambridge Ancient History", la taberna era un'unità per la vendita al dettaglio all'interno dell'Impero Romano, in più era il luogo dove venivano offerte numerose attività commerciali e terziarie, comprese la vendita di cibi cotti, vino e pane.
Le tabernae, probabilmente, hanno fatto la loro prima apparizione in Grecia, in quelle località importanti per fini commerciali intorno alla fine del V e IV secolo a.C. In seguito all'espansione dell'Impero Romano nel Mediterraneo, il numero delle tabernae crebbe in maniera esponenziale, aumentandone l'importanza commerciale nell'economia urbana di numerose città quali Pompei, Ostia, Corinto, Nuova Cartagine, Narbo [1]. Molte di queste città erano porti dove i beni di lusso e la merce esotica importata, veniva venduta al pubblico: le tabernae erano le infrastrutture che agevolavano gli scambi commerciali.
Tito Livio scrive di una battaglia che Marco Furio Camillo, un generale romano vissuto nel periodo di espansione dell'Impero fra il V e IV secolo a.C., ebbe con le tabernae di Tusculum (oggi Tuscania) in Lazio:
Montato il campo nei pressi delle porte della città, Camillo desiderando sapere se la stessa apparenza di pace che si avvertiva in campagna, regnasse anche nei pressi di quelle mura, entrò in città, dove ammirò le porte aperte e la moltitudine di mercanzia in vendita nei negozi e gli artigiani ognuno impegnato nel proprio mestiere, le scuole che risuonavano le voci degli scolari, le strade piene di gente con donne e bambini mescolati tra la folla e diretti là dove i loro impegni li chiamavano... [2]
Un fatto interessante da notare è che lo sviluppo delle tabernae nell'Impero fu, in termini di tipologie, sostanzialmente uniforme. La richiesta di nuove tabernae crebbe di pari passo con la crescita urbanistica delle città. Esse rappresentano la testimonianza del successo economico, della crescita e dell'espansione dell'Impero.
Esistevano due tipoligie principali di tabernae: quelle situate in edifici privati e quelle situate in luoghi pubblici. "Le case private avevano botteghe fronteggianti i locali interni. Le tabernae erano anche situate in blocchi residenziali di appartamenti multi-piano chiamati insulae, principalmente abitati da liberti".[1] Al crescere dei centri urbani nelle città romane, crebbe anche lo sviluppo di edifici residenziali e commerciali per ospitare la grande massa di persone che affluiva a questi centri commerciali. Le insulae venivano costruite con i locali destinati a taberna situati ai livelli inferiori. Le persone che gestivano le tabernae erano chiamati tabernari ed erano in massima parte liberti che lavoravano sotto un padrone, vero detentore della proprietà del locale.
Il secondo tipo di taberna era simile al precedente perché situato in una posizione fissa all'interno di un complesso di edifici, con la sola differenza di trovarsi in luoghi pubblici come mercati e fori, aree destinate a ricevere grossi volumi di affari. Famosi esempi ancora visibili sono ai mercati di Traiano, costruiti da Apollodoro di Damasco e negli scavi archeologici di Pompei ed Ercolano.
Le tabernae rivoluzionarono l'economia di Roma perché rappresentavano le prime rivendite al dettaglio all'interno delle città, che significava la prima voce di crescita ed espansione dell'economia. Nelle tabernae veniva venduta una gran verietà di prodotti agricoli o artigianali come frumento, pane, vino, gioielli ed altro. È verosimile pensare che la taberna era anche il luogo dove venivano liberamente distribuiti al pubblico vari tipi di cereali. Inoltre venivano utilizzate dai liberti per risalire la scala sociale attraverso l'attività lucrativa. Sebbene quest'attività non era molto considerata nella cultura romana, il liberto la utilizzava per raggiungere una stabilità finanziaria e sperare in una qualche influenza all'interno dei governi locali.
Fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/Taberna
domenica 15 agosto 2010
ER POLLO COI PEPERONI A FERRAGOSTO

Cari Fratelli Vignaioli e non na' squisitezza che i Romani
mangiano volentieri specialmente a Ferragosto, magari
bevendosi un bel Frascati Superiore:
Ingredienti:
pollo- 1
peperoni- 500 (grammi)
pomodori maturi - 300 (grammi)
aglio -
cipolla -
olio di oliva -
vino bianco secco - 1 (bicchieri)
sale -
pepe -
Preparazione:
Tagliate il pollo a piccoli pezzi e farlo saltare in padella con una cucchiaiata d'olio d'oliva e un po' di cipolla. Fate rosolare e aggiungete sale e pepe, poi aggiungete uno spicchio d'aglio tritato ed il vino. Quando il vino sara' evaporato unite pomodoro a pezzi, infine i peperoni che si saranno cotti, a pezzi, in padella con olio, sale e cipolla. Fate insaporire per qualche minuto dopodichè dateglie sotto e bon appetito!
giovedì 12 agosto 2010
Monte dei cocci (a Testaccio) - der sor Maurizio

Un pò de cultura romana in quest'articolo dello storico Sor Maurizio:
Palatino, Esquilino, Aventino, Viminale, Quirinale, Celio, Campidoglio….
Questi sono i famosi sette colli di Roma che tanta importanza hanno avuto nella storia della città. Un insieme di sparpagliati e piccoli dossi tufacei montagnosi intorno ai quali l’acqua di piccoli fiumiciattoli scorreva per congiungersi poi con quella del Tevere.
Erano luoghi ideali per la difesa e su ciascuno di questi c’era un villaggio, ognuno col suo cimitero e con una sua organizzazione primitiva.
La comunità del primo re di Roma, quella di Romolo sul Palatino, riesce ad avere una ergemonia militare ed economica sulle altre e unisce i sette colli sotto il governo di un solo Re, romano, che si alterna nel tempo con un Re sabino; sono quattro Re che vanno da Romolo ad Anco Marzio.
Ma ecco giungere gli Etruschi conquistatori, che inglobano i sette colli,dentro un primo cerchio di mura, le cosidette Mura Serviane, costruite, secondo tradizione, da Servio Tullio, nel VI secolo a.C.
In realtà le mura , da recenti studi, sembra siano state edificate invece in epoca repubblicana.
Anche il Gianicolo è un colle ma allora non era nei piani romani di includerlo nella città: era situato dall’altra parte del Tevere come non lo era lo stesso Trastevere, ai suoi piedi, anche se pullulante di mercanti romani,etruschi,ebrei e greci, verrà inserito nelle mura Aureliane dall’omonimo imperatore, molto tempo più tardi fra il 270 e il 273 d.C.
Quando il Tevere faceva i capricci e inondava la città, lasciava uno spesso strato melmoso che, dopo la caduta dell’ Impero Romano d’Occidente, nel 476 d.C., raramente veniva rimosso dai responsabili comunali romani o dai Pontefici, se non nei casi in cui c’erano necessità di scavi per nuove costruzioni o per il recupero di antichi reperti.
Ed ecco, in questi casi, sorgere per la città vari accumuli di terreno che i romani chiamavano “monti”… originati dalla terra di risulta degli scavi che veniva accumulata nei paraggi.
Sorgono in questo modo varie alture artificiali per tutta la città come monte Savello, Monte Giordano, Montecitorio, Monte Cavallo ,Monte Testaccio…… ecco… proprio di questo monte ora vorrei parlare.
Qualche centinaia di metri a valle dell’Isola Tiberina, c’era già dai quei tempi antichi un porto fluviale, l’ Emporium , più tardi chiamato porto di Ripa Grande per distinguerlo dall'altro porto, più piccolo,il porto di Ripetta
A Ripa Grande approdavano le navi che facevano la spola dall’.entroterra al mare di Ostia, provenienti anche dall’Africa, dalla Spagna o dall’oriente.
Ogni genere di merce veniva sbarcata, conservata negli horrea, i magazzini, e poi smerciata.
Giungevano cotone, seta, sale, animali eper il vicino Foro Boario; derrate vegetali per il Foro Olitorio ma anche anfore di coccio per contenere olio, vino, granaglie, essenze, profumi ecc., erano i prodotti che venivano scaricati più volte al giorno.
Guarda caso, intuito del commercio, poco distante da questo enorme mercato, c’erano i forni per la costruzione delle anfore e di queste ce n’era veramente una enorme necessità.
I cretai raccoglievano l’argilla dalle rive del fiume e i mastri vasai la modellavano in recipienti di varie dimensioni coi loro torni e li ponevano a cuocere nei forni.
La plastica non c’era allora; usare il vetro per fabbricare grossi contenitori per liquidi o merci, sarebbe stato troppo oneroso e le anfore di argilla erano l’unico sistema di trasporto dei liquidi e delle granaglie.
Venivano costruiti otri, enormi orci e anfore di vari tipi utilizzati anche per il trasporto di liquidi e di sementi ma avevano un grosso problema… si rompevano facilmente e la fabbrica, che era lì a due passi, era pronta a sfornare contenitori di ogni capienza. I rottami dei fragili contenitori di argilla, compresi quelli derivanti dalla errata fabbricazione, venivano gettati in un unico posto, poco distante.
Col tempo quel deposito di rottami diviene un enorme accumulo di spezzoni di anfore,…. , si forma appunto una collinetta, il monte Testaccio dal latino testae (cocci) cioè monte dei cocci che poi ha dato il nome al popolare e romanissimo quartiere di Testaccio posto a fianco del colle Aventino e a ridosso del porto fluviale, all’altezza del ponte Sublicio; all’incirca cinque-seicento metri a valle dell’Isola Tiberina.
Inoltre per quei tempi, era più economico acquistare nuove anfore che pulirle e poi porle nuovamente in commercio: di conseguenza queste venivano distrutte.
Infatti i liquidi dei recipienti oleari e vinari, penetravano un po’ nelle pareti argillose interne delle anfore per cui era necessario oltretutto passare uno strato di calce per fermare e isolare il processo di decomposizione di quel piccolo strato interno di particelle guaste che avrebbe alterato il sapore degli altri nuovi liquidi immessi, come vino o olio.
Una ferrea disposizione d'altronde, vietava nel modo più assoluto di gettare quegli spezzoni di anfore rotte nel Tevere altrimenti questi cocci avrebbero potuto provocare grossi danni alle pale dei mulini ad acqua usati per la macinazione delle granaglie, che erano nelle vicinanze e gli accumuli nel fondo del Tevere di quei detriti, avrebbero provocato anche danni alle imbarcazioni che attraccavano nel vicino porto.
In anni e anni di accumuli di materiale frantumato e di detriti terrosi, si era formata una collinetta che aveva raggiunto un chilometro circa di circonferenza e un’altezza di una cinquantina di metri. Eppure i romani riuscivano a trarre utilità anche da quella piccola montagnola: l’argilla era un’ ottima conservatrice di freschezza e i mercanti di vino ne avevano subito approfittato per scavare lunghe gallerie nell’interno del monticello, per farne depositi per i loro vini più prelibati.
I fabbricanti di anfore, ogni mille pezzi costruiti, come anche per i mattoni, usavano scrivere il loro nome e l’anno di fabbricazione sulla base dei recipienti e da alcuni cocci ritrovati è risultato che le anfore erano datate dal 140 a.C. per giungere fino al III secolo d.C. ma l’usanza di depositare i cocci sulla collinetta si è protratta per tutto il medioevo ed oltre.
Su alcuni testi, risulta che nel periodo medioevale, dall’anno 1190 e fino alla fine dell’ottocento, si usava festeggiare in questa zona, le famose ottobrate romane.
L’ ottobre romano, dopo la furiosa calura estiva, è un mese in cui l’atmosfera assume tutte le caratteristiche di clima primaverile; il sole è tiepido, gradevole e il cielo è sereno; i tramonti sono multicolori e l’aurora è di una limpidezza affascinante e tutto questo clima così gradevole invoglia a gioire di questa atmosfera autunnale, prima che l’inverno cancelli ogni traccia del bel tempo estivo.
Il rione “Ripa Grande”, quel rione in cui è inclusa la zona testaccina, proprio in questo periodo si adornava di banderuole, festoni, ghirlande fiorite e la popolazione rionale ,come quella proveniente dagli altri rioni romani, era presa da una euforia festosa e gaudente.
Già verso alla fine di Settembre un lungo corteo in processione attraversava Roma partendo da piazza Navona e il popolo si accodava pregando e salmodiando. In coda al corteo i facchini raccoglievano le offerte del popolo romano per la festa del mons palii, il monte del Palio e il popolo di ogni rione romano offriva la sua parte di prodotti alimentari come damigiane di vino, prosciutti,ogni genere di salumi , formaggi o denaro per la festa delle ottobrate romane.
Ai primi del mese di ottobre, il Primo Senatore di Roma saliva sulla sommità del Monte dei cocci seguito da tutti gli altri senatori, nelle loro scintillanti corazze e armature, accompagnato da araldi, palafrenieri, e scudieri : piantava lo stendardo araldico di Roma sulla cima del monte Testaccio e annunciava ufficialmente l’inizio delle feste.
In presenza del Papa veniva ucciso un orso, simbolo del demonio; poi veniva soppresso uno stallone, immagine di superbia e infine un gallo, rappresentazione della lussuria. Poi iniziavano i giuochi di corse e di lotte dei rioni fra un girotondo di balli, salterelli, sbornie memorabili e pagnottelle con la porchetta. La stessa collinetta del monte dei cocci era un luogo ben protetto dove venivano fatti pascolare gratuitamente gli animali affinchè con i loro escrementi favorissero la crescita di prati folti e verdi per accogliere poi la popolazione nel periodo della festa rionale.
Uno dei giuochi in cui maggiormente si scatenava il tifo rionale era quello degli anelli, gara paragonabile alla odierna giostra del saracino : nel mezzo della piazza veniva posto un palo roteante su se stesso cui erano appesi vari anelli ciascuno con attaccato, uno di quei premi che erano stati offerti dai rioni. Un cavaliere, lanciato al gran galoppo, doveva infilare con una lunga pertica, almeno un anello e questo giuoco era motivo di accanite rivalità e scommesse fra i rappresentanti dei tredici rioni di Roma.
Strana e crudele era la “ruzzicàne de’ li porci”, il rotolamento dei maiali.
Dodici di questi animali, ben puliti e agghindati di stoffe di colore rosso.venivano posti, due a due, su sei carrette e trasportati in cima alla collina. Ad un cenno stabilito i carretti venivano abbandonati alla discesa in modo tale da farli scendere vertiginosamente lungo il pendio fino a sfasciarsi al raggiungere del terreno sottostante.
A questo punto si scatenava la lotta fra i rappresentanti rionali per accaparrarsi i poveri animali che terrorizzati correvano per ogni posto come fossero impazziti fra grugniti e strida quasi umane di paura mentre ragazzotti belli robusti se li contendevano dandosele fra di loro di santa ragione per poterli catturare e vantarne la proprietà per loro stessi e per il loro rione.
Al culmine della confusione alcuni tori venivano pungolati con le pertiche per indirizzarli sul luogo della caccia al maiale…. Il caos raggiungeva il massimo perché i tori andavano ad accanirsi sui maiali con le loro drappe rosse e non è che facessero poi tanta distinzione nell’incornare un animale o un uomo, mandando i malcapitati a gambe e zampe levate…. e il tutto fra le risate degli astanti nel vedere il coraggio o le fughe o le lotte dei baldi giovani intenzionati soprattutto ad accaparrarsi un maialino da portare al rione come premio di abilità e di coraggio.
Poi cavalcate, giostre di ogni tipo, stornellate, alberi della cuccagna oppure il famoso giuoco della pentolaccia, concludevano il giorno inaugurale dell’ottobrata romana , fra gli scoppi dei fuochi pirotecnici. Quasi tutte le manifestazioni si ripetevano per tutti i giorni del mese.
Nel 1650 Urbano VIII abolisce queste tradizionali usanze finchè anche la festa resta priva delle sue caratteristiche principali fino ad esaurirsi spontaneamente avendo perso ogni significato originale.
Rimase però delle ottobrate romane, l’usanza di festeggiarle “for de porta” intendendo allora con questa frase la scampagnata fuori delle mura quando ancora oltre quel limite c’era la campagna e le famiglie (in questo caso i fagottari) si portavano dietro l’occorrente per fare quello che oggi chiamiamo il pic-nic sull’erba: borsoni contenenti varie cibarie, dai rigatoni già cotti e conditi alle fettine panate e all’insalata , tutto meticolosamente avvolto in pacchi o in contenitori di vetro e senza farsi mancare il classico fiasco di buon vino dei Castelli.
Unica cerimonia ufficiale rimasta fino alla fine dell’800, è stata quella della processione della Via Crucis del venerdì Santo considerando la montagnola di Testaccio come una similitudine del Calvario.
giovedì 5 agosto 2010
La notte di San Giovanni a Roma (Der Sor Maurizio)

(S. Giovanni Incisione del Piranesi)
Cari Vignaioli e non il Sor Maurizio ha scritto questo interessante documento su una tradizione romana che che pubblico volentieri:
La notte di San Giovanni a Roma (Der Sor Maurizio)
Le antiche tradizioni prima o poi finiscono di essere dimenticate : troppo intenso è il modo di vivere attuale che non si ha più il tempo di riviverle né di parteciparvi e prima o poi si perderanno nell’oblio. Anche a Roma molte usanze sono state dimenticate e ben poche ne sopravvivono. Una di queste ricorrenze che ancora si ricordano è quella che riguarda la cacciata degli spiriti maligni dalle campagne, festa che oggi ha perso il vero significato di una volta ed è divenuta una scusa per invadere con bancarelle di ogni tipo tutto il quartiere di San Giovanni.
Alla popolazione del quartiere resta solo il richiamo della tradizione e il chiasso fragoroso della nottata mentre sono tanti coloro che si chiedono il perché di questa festa.
In realtà la Chiesa ha voluto onorare il nome di San Giovanni nel giorno esatto di una ricorrenza pagana.
E’una tradizione antica che si rinnova e risale dal tempo della Roma arcaica, agraria e pastorale: il 24 giugno era allora la festa della mietitura, la data del solstizio estivo e giorno dedicato alla dea Cerere .
Roma era piccola a quel tempo e la notte del 23 giugno la popolazione romana si riuniva nella zona che diverrà poi del Laterano, con grandi schiamazzi e fracasso per scacciare gli spiriti maligni, le Arpie e i demoni infernali perché non danneggiassero le colture ormai pronte per il raccolto.
Nel medioevo invece la popolazione accorreva davanti alla basilica di San Giovanni, intonando canzoni allegoriche, boccaccesche e tutt’altro che sacre mentre una miriade di torce illuminava la zona, fra il frastuono generale,. con l’identica intenzione di scacciare i demoni infernali del tempo: le streghe.
Alle porte delle case venivano appesi ferri di cavallo con le punte in giù come amuleti per trattenere la fortuna e, fuori della porta di casa, si poneva una ciotola di acqua benedetta, un vaso pieno di sale e una scopa. Per poter entrare di forza nella casa le streghe dovevano contare prima i granelli di sale e gli zeppi della scopa in modo che contando ,contando, sarebbe poi sopraggiunta la luce del giorno e le streghe sarebbero state costrette a tornare nei loro luoghi infernali senza poter entrare nelle case.
Nessun romano, anche adesso, resta in casa quella notte perchè come allora viene festeggiata anche la festa della Concordia, una ricorrenza in cui ogni litigio in famiglia doveva essere dimenticato e, per questo, la popolazione si riunisce in banchetti sui prati o nelle osterie con parenti e amici di famiglia, per una cena in “santa pace” e il piatto tradizionale è tuttora, le lumache: Perché ? Le lumache hanno le corna che sono un simbolo nefasto per la pace familiare per cui occorre seppellire le chiocciole nello stomaco, ben innaffiate col vino dei Castelli .
Sulla tarda serata poi c’era la sfilata dei carri allegorici e infine a mezzanotte i fuochi pirotecnici, che con i loro effetti colorati e rumorosi, devono scacciare gli ultimi spiriti maligni definitivamente da tutta la città.
Il giorno d’oggi, la festa nel quartiere San Giovanni è ancora molto seguita e sentita ed è sempre nel cuore degli abitanti ma inevitabilmente si sta trasformando, come sta accadendo alla festa de noantri che si tiene in Trastevere, in una esposizione di mercanzia dozzinale che ne falsifica il significato.
venerdì 23 luglio 2010
LA PASSATELLA ROMANA
LUNGA VITA A BACCO E ACCIDENTI A CHI NON BEVE!
Cari fratelli vignaroli e non un piccolo riassunto de le regole de sto magico e divertente rito Romano.
La Passatella
E' un gioco, secondo alcuni, molto antico e risalirebbe perfino agli Antichi Romani che usavano chiamarlo Rex vini, Regnum vini tanto che se ne trova descrizione in Orazio e Catone che ne parlano entusiasticamente.
Fatto è che successivamente le regole, probabilmente, sono leggermente mutate così come i giocatori - dallo spirito nobile che animava il gioco degli antichi, a quello più godereccio degli anni più recenti - fino ad oggi periodo in cui sembra pressochè scomparso per lasciare il passo a passatempi meno cruenti. Perchè cruenti? Si narra che spesso il gioco finisse in rissa in quanto, come si vedrà durante l'esposizione del regolamento, lo scopo è quello di lasciare a bocca asciutta e casomai canzonare uno dei partecipanti (l'Ormo) che non sempre accettava di buon grado di contribuire all'acquisto del vino per poi vederlo bere da altri - in un periodo in cui, spesso, il popolano aveva difficoltà a procurarsi la cifra richiesta per un buon bicchiere di vino - alla sua salute. Lo stesso Papa Sisto V , preoccupato per le notizie di risse scoppiate a causa del gioco, si narra, volle provarlo insieme ad alcuni suoi Cardinali. Fatto "Ormo" per diverse volte consecutive si scagliò su coloro (i suoi Cardinali!) che non gli permettevano di bere e solo il pronto intervento di alcuni serventi evitò che la prova degenerasse. Da quel giorno il Papa ordinò ai giudici di essere più indulgenti con chi si fosse macchiato di tale infrazione.
E veniamo ora alle regole del gioco che sono abbastanza complesse da richiedere una certa pratica per poter essere apprese completamente. I personaggi protagonisti sono principalmente quattro :
la Conta
il Padrone
il Sotto
l'Ormo.
Il numero complessivo di giocatori deve essere, possibilmente, superiore a cinque in modo che la trama del gioco si dipani in modo vario.
Attraverso una conta la sorte stabilisce chi debba essere la Conta ovvero quel personaggio scelto dal caso che dovrà nominare il Sotto ed il Padrone. La Conta, svolto il compito, si ritira da un ruolo attivo ed assiste alle diverse fasi successive partecipando quale giocatore. La Conta ha diritto alla prima bevuta, ovvero, è padrone del vino, potendo decidere se berlo addirittura tutto (la quantità di vino che si usa è di diversi litri) ed in questo caso lo deve fare tutto d'un sorso, oppure può limitarsi ad un solo bicchiere.
Prima di nominare il Padrone del vino, anch'egli con diritto di bevuta come la Conta, dovrà nominare il Sotto.
Al Padrone spetta il compito di accordare le bevute agli altri partecipanti e lo potrà fare a suo piacimento e discrezione ma dovrà assegnare il bicchiere, la goccia il cucchiaio o il secchio attraverso il Sotto ovvero d'interposta persona. Il Sotto, dal canto suo, ha il potere di accordare la bevuta o negarla assegnandola ad un'altro. E' per questo che il vero capo del gioco, in realtà è il Sotto.
Il gioco deve essere chiaro in tutti i suoi passaggi per cui è parlato (gioco di voce) ed una fase di gioco potrebbe essere la seguente : i giocatori hanno sorteggiato la Conta : Conta - voi sete er Sotto - rivolgendosi ad un giocatore oppure - posso beve? - rivolgendosi ad uno dei giocatori e quindi chiedendo il permesso per una bevuta supplementare, nominandolo Sotto in maniera indiretta. Il Sotto risponde - bevete! - oppure - no! - ed in questo caso la bevuta supplementare della Conta salta. Po il sotto si rivolge ad un altro giocatore - Voi sete er Padrone -. Il Padrone, dopo aver esercitato il suo potere a bere, deve mannà pe' licenza gli altri bicchieri : Padrone - questo bicchiere lo diamo a Caio -, Caio prende il bicchiere e rivolgendosi al Sotto chiede, - Posso? - il Sotto risponde, - sta bene! - così Caio può bere. Poi il Padrone riempie un mestolo e dice - questo è pe' Giggi - Gigi prende il mestolo un po' titubante in quanto la quantità non gli sembra abbondante e chiede il permesso al Sotto, - Posso beve? - il Sotto risponde, - No! Poi odora' guarda' ma poi la bevuta la passi a Cesare! - Gigi, se quella sera continueranno a negargli le bevute, sarà fatto Ormo.
Questo è un esempio di come potrebbe andare una fase del gioco. In particolare :
quando la Conta non parla ma indica il Sotto a gesti, si ha un esempio di gioco rotto in cui gli altri giocatori possono bere senza riconoscere l'autorità di un Sotto non nominato oralmente;
se un giocatore passa la bevuta senza chiedere il permesso al Sotto dicendo, - passo la bevuta a Tizio o a Caio - il Sotto deve farsi lui la bevuta perchè se accordasse comunque la bevuta, farebbe un'infrazione ed il giocatore che ha fatto - passo - potrebbe evitare che il Sotto beva bevendo egli stesso senza bisogno di autorizzazione;
il giocatore, tranne per le quantità inferiori o pari ad un bicchiere, deve bere tutto d'un fiato ;
le bevute non si possono cedere e se lo si fa, si deve pagare tutto il vino ordinato!
Questa è solo l'intelaiatura di un gioco che risulta essere più complesso di quanto sommariamente descritto.
Nel video una delle prime passatelle fatte simpaticamente dai vignaroli.
ve saluto!
lunedì 19 luglio 2010
LA FESTA DE NOANTRI

LUNGA VITA A BACCO E ACCIDENTI A CHI NON BEVE!cari fratelli vignaioli :
Luglio - La festa de noantri
La Madonna del Carmelo, a Roma, ha assunto nel tempo delle connotazioni particolari e peculiari, divenendo intorno agli anni Venti, anche "la festa de noantri" (noi altri)
Una leggenda narra che alcuni portuali, pescando sulle rive del Tevere, verso la metà di luglio di un anno imprecisato, raccolsero dal fiume una cassa al cui interno giaceva una preziosa statua della Madonna. I pescatori, estasiati dalla bellezza della Vergine, si affrettarono a trasferirla nella chiesa di sant'Agata, dove ancora oggi risiede. Da quel giorno, il sabato successivo alla festa del Carmelo, a Roma la Madonna venuta dal Tevere viene portata in processione, dalla chiesa in cui risiede attraverso tutte le vie del rione Trastevere, per giungere a San Crisogno, dove riposa per otto giorni, prima di riprendere il suo posto a sant'Agata.
La processione, che anticamente era organizzata dalla compagnia dei vascelari, i vasai, che plasmavano i boccali di coccio e le brocche per servire il vino nelle osterie, è oggi appannaggio dei trenta confratelli dell'arciconfraternita del Ss. Sacramento e di Santa Maria del Carmine, i quali con il tradizionale saio bianco, oggi però privo di scapolare, portano la statua attraverso il quartiere popolare romano.
L'impronta festaiola della celebrazione, un tempo caratterizzata dalla presenza dei vascelari e dei loro boccali colmi di vino, non è però andata smarrita. La festa della Vergine è infatti affiancata dalla festa pagana di "noantri", a cui partecipa tutto il quartiere con bancarelle, mercatini, osterie aperte a tutti i passanti, manifestazioni e teatri ambulanti, che attirano l'attenzione di curiosi e turisti, spesso ignari della ricorrenza cristiana.
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